Uomini ciechi (vol. 1)

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Testo
Foglietto in un cassetto di legno di ciliegio
Uomini ciechi
Siamo noi
Come sarebbe

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Foglietto in un cassetto di legno di ciliegio

Penserai di trovare un cassetto
con dentro le gemme più lucenti,
ma c’è una vita appuntata a un biglietto
con tutti i suoi errori e le correzioni.

Insieme ad un vecchio padrone
che comanda ai suoi servi più cari
per l’ultima volta, con l’ultima voce,
di ridargli la vita, di mandare i profeti.

E mi prendi per mano incrociando le dita,
annodando i nodosi rami di mani.
Mi carezzi col pollice il dorso del pugno:
uno sguardo, un sorriso, e il calare degli occhi.

Tu mi dici è stato meglio aspettare
che incrociare lo sguardo anni fa.
Forse avevamo più tempo allora,
ma in fondo cosa importa più?

Ora va’ dove ti pare,
tanto prima o poi tornerò a bussare.
È oramai banale parlare d’amore,
perché forse d’amore oramai non ce n’è.

Ronza un’ape sulla terra rugosa
bagnata e secca dal tempo d’aprile.
Dormo sereno, poggiato su un fianco,
dorme il mio braccio su un letto di donna.

Le tue labbra percorrono lente
un timido sorriso
sul volto d’avorio
d’un breve inverno.

Il sogno di un effimero sonno
è un incubo atroce;
il sogno d’un sonno profondo
ti aiuta a trovare un silenzio di pace.

Ma adesso va’ dove ti pare,
prima o poi tornerò io a bussare.
È ormai banale parlare d’amore,
perché forse d’amore oramai non ce n’è.

Testo di Arturo Raja
Musica di Arturo Raja, Aronne Letizia
Uomini ciechi

Prendiamo le mani di chi trova sé stesso
sull’orlo d’un fiore appassito a dicembre.
Prendiamo le mani di chi guarda lontano
oltre il muro dei vetri dove nasce la vita.

Piene le mani di certe illusioni
vagheggiate da idoli vuoti.
Piene le palme di pugni chiusi
che colpiscono senza motivo.

Oceani di speranze e sogni
avvolti da bolle di vetro artificiali.
Mari di vendette e indifferenze
velate da sorrisi di ineffabile rancore.

Uomini, donne, bambini!
Date loro la caccia!
Rendete vendetta per il tempo sprecato
a rendere omaggio ai vostri idoli!

Popoli di pastori e di bestiame
preceduti da lunghi bastoni bianchi.
Popoli di stanatori e latitanti:
cercano e fuggono, ma cadono all’unisono.

Uomini o angeli sommersi
d’ovazioni e di profane preghiere.
Uomini o pecore annegati
in disinibite bestemmie benpensanti.

Ma adesso dimmi per quale avvenire
strisci per terra con le bestie
lasciando che siamo gli altri
ad alzare lo sguardo e vedere lontano.

Se hai le forze di sollevare il capo,
al contrario di scrofe impotenti,
malato del male più grande del mondo,
vai, Lazzaro, alzati e cammina.

Testo di Arturo Raja
Musica di Arturo Raja, Aronne Letizia
Siamo noi

Lo stato che vorrei
è uno stato senza confini,
che non si limita a dire
di che nazionalità tu sia.

Lo stato che vorrei
ha un governo che non impone,
ma si impone di fare
ciò che è meglio che sia fatto.

Lo stato che vorrei
siamo noi.

Disegniamo confini
su brandelli di carta,
fossati per proteggerci
da ciò che ci sembra diverso.

Tracciamo i nostri stessi limiti,
per restare coi piedi e coi palmi per terra
senza far scorrere il vento sotto le ali,
chiudendo i pugni nelle tasche dei nostri avi.

Lo stato che vorrei
siamo noi.

Siamo noi che prendiamo per mano una donna
partita per il viaggio da molto lontano.
Siamo noi che basta non avere odio
e le vostre leggi non servono a niente.

Quando capiremo di sbagliare ad uccidere,
quando capiremo che rubare non è reato,
se forse capissimo che l’odio è un errore
potremmo divenire la nostra unica legge.

Non basterà un litigio con mia madre,
a nulla servirà lo sgarro di un amico
per smuovermi dall’idea d’un amore,
d’una speranza, afferrata tempo fa.

Lo stato che vorrei
siamo noi.

Testo di Arturo Raja
Musica di Arturo Raja, Aronne Letizia

Sarete per sempre animali,
per sempre chini col capo sui banchi.
Sarete involucri di cellofan
per cesti da riempire di porcate per Natale.

Sarete sacchi di juta
da riempire di blasfemi Fraticelli.
Sarete i giorni più vuoti
da lambire con le vostre inutili pretese.

Siete certi che il vostro avvenire
sia avvolto dalle vostre mani,
ma siamo noi che lo stringiamo
cordoni di lenzuola coi denti e coi piedi.

Poggiate il capo sui nostri cuscini
per vedervi riempire la mente
delle nostre, ormai anche vostre,
inutili bugie.

Pregate il nostro Dio
che fermi il tempo
che noi abbiamo scandito
in libere ore.

(Ore) liberte da esser schiave
di sanguinolenti sacrifici umani,
di trincee di terra e fango
chiamate a soddisfare i nostri intenti.

Vedrete quante dita vi tranceremo,
e quante ai figli che non avremo,
per guardarvi scannare tra voi,
per scommettere sui vostri indici.

Alzatevi, e abbiate rispetto,
perché si contano più segni
sui nostri volti insofferenti,
sui nostri pensieri.

Saremo per sempre animali,
per sempre chini col capo sui banchi.
Saremo involucri di cellofan
per cesti da riempire di porcate per Natale.

Perché i nostri maestri
ci hanno tranciato più dita
che a voi.

Perché non con le mani,
ma con i denti e con i piedi
impregniamo le lenzuola dei nostri mali.

Testo di Arturo Raja
Musica di Arturo Raja, Aronne Letizia
Come sarebbe

Sarebbe bello uscire di casa
appena ne senti il rumore sottile
e farti la doccia con la pioggia
per lavare il viso dalle lacrime.

Sarebbe bello tuffarsi nel mare
quando in costume ne senti l’odore,
per sentire sul tuo volto, la tua pelle,
come se le lacrime non fossero tue.

E adesso dimmi dove andrai
nel tuo viaggio verso il cielo
attraverso le nuvole.

E adesso dimmi dove andrai,
guidato dai tuoi occhi,
che vedo pieni di malinconia.

Sarebbe meglio trovare il tramonto
quando apri gli occhi e ti senti più solo,
in compagnia del tuo sole, la tua stella,
e la luce che illumina la polvere.

Sarebbe meglio un bicchiere di vino
per intingere le labbra sottili,
per tingere di rosso il palato
e addolcire la lingua e la gola.

E adesso dimmi dove andrai
nel tuo viaggio verso il cielo
attraverso le nuvole.

E adesso dimmi dove andrai,
guidato dai tuoi occhi,
che vedo pieni di malinconia.

Testo di Arturo Raja
Musica di Arturo Raja, Aronne Letizia

Labbra secche per questo freddo,
lacrime secche su quelle calde guance,
occhi rossi su quella faccia bianca,
iniettati di sangue congelato.

La tinta del mio sangue assume le forme
d’un calice di cristallo poggiato sulla tavola.
Come vino rosso ne disegna i contorni,
ne bevi piccoli sorsi per sentirne l’odore.

Cosa sarà questo pianto che sento appena?
Magari è la paura di dire addio.
Magari è il timore di cambiare sorriso.
E perché le tue lacrime trascinano le mie?

Tu mi dici che parli di me.
Io chiedo scusa per non fidarmi di te.
Ma forse i versi che ho scritto
li ho scritti per vederli morire.

Credi che sia vietato velarci dietro le tende,
dietro le finestre e dietro le porte
dell’unico luogo che abbia mai potuto
chiamare veramente casa.

Credi che sia lecito vederci per le strade,
sotto le finestre e sotto le porte,
e dare aria all’aria
se parliamo d’amore.

Cosa sarà questo pianto che sento appena?
Magari è la paura di dire addio
Magari è il timore di cambiare sorriso.
E perché le mie lacrime non trascinano le tue?

Testo di Arturo Raja
Musica di Arturo Raja, Aronne Letizia

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